Onorevoli Deputati! - L'introduzione di un meccanismo processuale che consenta di estendere i rimedi concessi a chi abbia agito in giudizio ed abbia ottenuto riconoscimento delle proprie pretese a tutti gli appartenenti alla medesima categoria di soggetti che non si siano attivati è proposta da tempo all'attenzione del legislatore, quanto meno dall'inizio degli anni settanta, proprio agli albori del consumerismo. In generale si avverte, dunque, l'esigenza di consentire - per ragioni di giustizia, di economia processuale, di protezione dei diritti conculcati - a chi si trovi in una determinata situazione di beneficiare dei rimedi che altri, avendo agito in giudizio ed essendo risultati vittoriosi, possono esercitare nei confronti del convenuto.
      L'articolo 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281 (i cui contenuti sono ora confluiti negli articoli 139 e 140 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206), riprendendo quanto disposto dal previgente articolo 1469-sexies del codice civile in materia di clausole abusive nei contratti dei consumatori, ha introdotto un meccanismo processuale

 

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che costituisce l'avvio di una forma di tutela collettiva degli interessi dei consumatori.
      Il meccanismo dell'articolo 140 del citato codice del consumo consente alle associazioni dei consumatori e degli utenti (e ad altri soggetti collettivi legittimati ad agire negli altri Stati dell'Unione europea) di convenire in giudizio l'impresa e di ottenere dal giudice un provvedimento che inibisca l'uso della clausola di cui si sia accertata l'abusività. Si tratta quindi di provvedimenti di accertamento e di natura preventiva.
      Nonostante il clamore suscitato e i gravi danni causati a migliaia di risparmiatori dai crac finanziari verificatisi negli ultimi tre anni, non si è tuttora riconosciuto alle associazioni dei consumatori e degli utenti e ad altri soggetti collettivi il diritto di promuovere azioni di condanna di tipo risarcitorio.
      Il presente disegno di legge riprende la proposta di legge atto Senato n. 3058, recante «Disposizioni per l'introduzione dell'azione di gruppo a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti», della precedente legislatura, rimasto all'esame del Senato della Repubblica dopo essere stato approvato dalla Camera dei deputati il 21 luglio 2004. Esso disciplina l'azione collettiva risarcitoria (meglio nota come «class action») a tutela dei consumatori e degli utenti, introducendo, nel nostro ordinamento, uno strumento processuale analogo a quello già sperimentato, con successo, in altri Paesi.
      Le uniche modifiche sostanziali, rispetto al testo della citata proposta di legge atto Senato n. 3058, riguardano l'ambito di applicazione, che è apparso troppo limitativo, in quanto escludeva diverse fattispecie e alcuni settori economici assai rilevanti per gli interessi dei consumatori, e la previsione che il giudice possa stabilire anche l'importo minimo della somma da liquidare ai singoli danneggiati (e non soltanto i criteri di base).
      La «class action» costituisce un mezzo indispensabile per garantire una effettiva protezione di situazioni e di interessi comuni a diverse categorie di soggetti, concentrando, in un unico contesto processuale, l'accertamento di illeciti idonei a provocare un danno diffuso nella collettività.

      L'illegittimità e l'illiceità delle condotte lesive dell'integrità patrimoniale dei consumatori e degli utenti sono accertate attraverso un'iniziativa processuale affidata ad enti esponenziali della categoria.
      L'intervento normativo è operato integrando la normativa sulla legittimazione ad agire in giudizio a tutela di interessi collettivi disciplinata dagli articoli 139 e 140 del citato codice del consumo. La legittimazione all'azione è attribuita a tutte le associazioni dei consumatori e degli utenti, riconosciute dal Ministero dello sviluppo economico secondo le procedure definite dal medesimo codice del consumo, nonché alle associazioni dei professionisti e alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
      L'azione mira ad ottenere una pronuncia di accertamento della lesione della posizione giuridica degli appartenenti ad una determinata categoria. La sentenza di accoglimento può avere anche un ulteriore contenuto, consistente nella condanna generica del responsabile al risarcimento del danno, accompagnata, eventualmente, dalla definizione dei criteri di liquidazione dei risarcimenti spettanti ai singoli consumatori o utenti o dell'importo minimo da liquidare.
      Sulla base della sentenza di accoglimento dell'azione collettiva o del verbale di conciliazione, l'interessato può ottenere la condanna al pagamento della quota di risarcimento correlata alla effettiva lesione subita.
      Mentre l'azione collettiva in senso stretto è diretta ad individuare gli elementi dell'illecito e le connesse responsabilità, l'azione individuale conseguente è volta alla specifica liquidazione del danno patito dal singolo. In questo secondo giudizio, l'onere della prova del danneggiato è riferito alla misura del danno subìto. In ogni caso, l'onere probatorio è agevolato dalla definizione dei
 

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criteri di risarcimento eventualmente stabiliti dalla sentenza pronunciata in esito all'azione collettiva.
      Per assicurare una pronta definizione di controversie di così elevata rilevanza sociale ed economica, il giudizio è regolato dalle disposizioni acceleratorie previste per le controversie societarie dal decreto legislativo n. 5 del 2003.
      In ogni caso, ad ulteriore tutela degli interessi dell'intera categoria, la proposizione dell'azione collettiva produce l'effetto interruttivo della prescrizione dei crediti riguardanti il risarcimento del danno, anche nei confronti dei singoli consumatori o utenti.
      Dal presente provvedimento non derivano nuovi oneri o minori entrate a carico della finanza pubblica, essendo previste misure che non comportano nuovi o maggiori attività amministrative né richiedono l'istituzione di nuovi organi o competenze, e non essendo previsti né incentivi di alcun tipo né misure fiscali.
 

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